mercoledì 8 febbraio 2012

Vado, vedo, scrivo, racconto

Rosaria Capacchione, giornalista del Mattino sotto scorta per le intimidazioni ricevute dal clan camorristico dei Casalesi, affronta il tema della libertà di stampa e del dovere di fare bene il lavoro di informazione

13 marzo 2008. Udienza del processo d'appello Spartacus: maxiprocesso contro 31 appartenenti al clan camorristico campano dei Casalesi. Aula bunker Ticino due di Poggioreale. Presiede Raimondo Romeres. Michele Santonastaso, avvocato dei boss imputati Francesco Bidognetti e Antonio Iovine, legge un documento. Riguarda la possibilità di appellarsi alla parte della legge Cirami sul legittimo sospetto mettendo in dubbio l’imparzialità dell’organo giudicante. A giustificazione di tale richiesta Santonastaso tira in ballo Roberto Saviano, autore del libro Gomorra, che con il suo romanzo avrebbe "tentato di condizionare l'attività dei giudici", l'ex Pubblico Ministero della Direzione Distrettuale Antimafia Raffaele Cantone che avrebbe influenzato, con la collaborazione dei pentiti, i giudici della Corte d'Assise, e la cronista del quotidiano Il Mattino, Rosaria Capacchione, definita come “una giornalista prezzolata dalla Procura di Napoli, puntuale a soddisfare con la penna le esigenze di alcuni PM” e le cui inchieste giornalistiche avrebbero favorito la Procura di Napoli.
Strana coincidenza ma negli ultimi tempi nel nostro paese gli strali sembrano concentrarsi sempre sulle stesse categorie: giudici e giornalisti.
Di lì a pochi giorni alla Capacchione verrà assegnata una scorta.
L'abbiamo sentita a tre mesi da quel provvedimento.

Come è iniziata la sua passione per il giornalismo, in particolare per le inchieste?
La maniera di fare questo lavoro è una sola: credo che non si possa fare una distinzione tra il giornalismo e il giornalismo d'inchiesta. Non ho mai deciso di fare questo tipo di inchieste ma, trovandomi in una provincia in cui c'è un altissimo tasso di criminalità organizzata, è stato quasi fisiologico che cominciassi ad occuparmi cronaca nera. Ho iniziato, tanti anni fa, in un piccolo giornale ed ho imparato soprattutto la tecnica. Poi nel 1985 sono passata al Mattino; avevo colleghi più grandi e più autorevoli di me che mi hanno passato i segreti del mestiere anche strappandomi gli articoli sbagliati o inviandomi lettere di complimenti per i pezzi particolarmente riusciti. Molta vita di redazione e moltissima vita sul campo. Quando la mattina il mio capo mi chiamava, verso le otto e mezza/nove, perchè era successo qualcosa di grosso, voleva già sapere tutte le novità e io dovevo già essere pronta a fornirgli le notizie. Seguivamo i casi fino al momento in cui venivano risolti.

In riferimento alla vicenda che la vede coinvolta, c'è stato un momento in cui si è resa conto della situazione in cui si stava mettendo e ha deciso coscientemente di continuare, oppure facendo con scrupolo il suo lavoro ad un certo punto si è trovata in una situazione da cui non c'era più ritorno?
Non penso di fare il mio lavoro in una maniera diversa dagli altri. Racconto i fatti che accadono nel mio territorio. Non conosco altro modo. Ovviamente mi rendo conto che dicendo alcune cose qualcuno possa innervosirsi: a Milano se la prenderebbe l'alta finanza e qui i camorristi. Ho sempre saputo che questa è una cosa pericolosa: lo so da tempo, non da pochi mesi. Ma nel momento in cui mi dovessi accorgere che il giornalismo fosse diventato troppo rischioso per la mia vita, cambierei mestiere ma non certo il modo di farlo.

Che cosa significa per lei libertà di informazione?
Devo essere sincera: non mi sono mai scontrata con la censura. Sono stata fortunata. Quando ho portato delle notizie mi sono sempre state pubblicate. Tutte. Quello che temo molto, come limite alla libertà di informazione, è l'uniformità che deriva dall'utilizzo esagerato di notizie di agenzie e di comunicati stampa. E' un tipo di informazione che, se possiamo giustificare con la comodità o la mancanza di personale, alla fine si riduce in un restringimento degli spazi di libertà. Si finisce per veicolare notizie che non sono state controllate. Questo lo considero un problema serio e molto grave. Le agenzie sono una delle fonti ma non possono diventare la fonte esclusiva. Mi capita di verificare la veridicità della mia preoccupazione quando leggo testate nazionali o di altre regioni, che si occupano delle stesse cose di cui mi sto occupando io, ma utilizzano fonti non dirette e che quindi, spesso, riportano fatti che non corrispondono alla realtà o nomi sbagliati che continuano ad essere rilanciati sempre con lo stesso errore. Un altro concetto che si sta affermando, secondo me molto sbagliato, è quello che considera informazione tutto quello che si trova nella rete. Bisogna distinguere: in Internet possiamo trovare una serie di dati che non sono notizie, ma fonti. Da verificare. C'è molta confusione, che ad alcuni fa comodo perchè così è più facile dire che i giornalisti sono una 'schifezza'.

Quale dovrebbe essere il ruolo del giornalista?
Vado, vedo, scrivo, racconto. Forse la mia è una concezione arcaica della professione però il nostro mestiere ha le sue fondamenta sempre nelle stesse domande: chi, come, dove, quando e perchè. E solo quando rispondi al 'perchè' compi pienamente con la professione.

Quale dovrebbe essere il ruolo del lettore, del cittadino?
I giornali non devono avere una funzione didattica. Informano. Se le persone vogliono essere informate leggono altrimenti peggio per loro. Bisogna che ognuno scelga di farsi, attraverso l'approfondimento, una sua idea personale sulle cose. Vengo da una famiglia numerosa: siamo sei fratelli. Mio padre portava a casa ogni giorno la mazzetta completa dei giornali. Noi siamo cresciuti con tutti i giornali in casa e poi ognuno si è fatto le sue idee.

(settembre 2008)

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