mercoledì 8 febbraio 2012

La 'tanguera' ribelle. Intervista a Syusy Blady

"Io vado in giro ma poi torno sempre all’accampamento che per me è Bologna"

Abbiamo imparato a conoscerla come viaggiatrice in Turisti per caso, navigatrice in Velisti per caso, ideatrice di improbabili concorsi come quello della Tap Model, esploratrice in Misteri, danzatrice in Ballando con le stelle. Maurizia o Syusy, per lei è indifferente tanto ha assunto l’identità del suo alter ego, è tutto questo e molto di più. Non solo eclettica, ironica, intelligente ma una donna molto consapevole, in profondo contatto con se stessa e con una grande passione per il lato femminile del mondo.

Che bambina eri? Ci sono stati dei modelli, delle persone, degli avvenimenti durante la tua formazione che hanno influenzato il divenire della tua personalità?
Io nasco in una famiglia che può essere definita assolutamente normale: mio padre lavorava in ferrovia, mia madre era casalinga. Siamo stati una tipica famiglia anni ’50, con una figlia sola. Tante cose formano un carattere… io sono il risultato di un’infanzia molto felice, tra l’altro vissuta con molti maschi; un amichetto, Germano, con cui giocavo anche alle bambole e un cugino. Poi è arrivata l’adolescenza che ho vissuto in maniera più sofferta, un po’ per colpa mia, un po’ perché il mondo è duro, specialmente per le persone sensibili. Ci sono state alcune cose che hanno colpito la mia emotività, in particolare una bocciatura in seconda superiore per un cinque in italiano. Una cosa assurda che poteva succedere solo a una persona che faticava a farsi capire, che non era abbastanza aggressiva e non aveva alle spalle una famiglia forte. L’anno dopo ho ripetuto la classe con gli stessi professori, la maggior parte dei quali mi aveva promosso, anche con bei voti. L’anno dopo era il 1969, ci fu l’occupazione della scuola e io decisi di entrare. Così ho scoperto che ci si poteva pure ribellare.

Da come racconti questa storia della bocciatura ho la sensazione che è una cosa che ti è rimasta dentro ...
Da morire. Ultimamente lo sto superando, soprattutto da quando ho pubblicato dei libri: ho fatto Turisti per caso, poi, in collaborazione con un amico Vocabolario Sessuato, Il manuale della Tap model. Ma sono definitivamente guarita dal cinque in italiano con l’uscita di Tango Inesorabile edito da Einaudi!

Gli anni ’70, quindi, hanno coinciso, per te, anche con il tuo venir fuori con la tua personalità...

Sì, Diciamo che in quel momento ho capito che le mie inquietudini erano anche di tipo sociale. E poi ho capito che ci si poteva ribellare a tutti i canoni, a partire da quelli estetici e legati alla femminilità come a quelli sociali, in particolare a quelli basati sulla provenienza sociale. Da quel momento la mia battaglia è sempre stata questa. Anche adesso, quando spiego, o tento di spiegare, che sono separata ma che vado perfettamente d’accordo con mio marito e siamo contenti così; che stiamo cercando un livello diverso di modo di vivere, in fondo esprimo la stessa idea. Sono perennemente alla ricerca di cose che non siano le solite.

A proposito di cose che non sono le solite… Hai detto in un’intervista: “L’emancipazione femminile ha un prezzo e questo, serenamente, va pagato”. Quale è stato per te questo prezzo?

Io credo e non credo all’emancipazione. Ci credo perché noi viviamo in una società patriarcale quindi il minimo a cui dobbiamo aspirare è l’uguaglianza a tutti i livelli e il fatto di poter avere tutte le porte aperte. Non ci credo perché il fatto stesso di vivere in una società patriarcale è contro di noi. Quando mi sono laureata ho fatto una tesi su “Il maschile e il femminile nel mito e nella fiaba” e da allora seguo la ricerca del divino femminile, del dio donna. Questo aspetto ti apre un velo e, secondo me, è importantissimo affermare questo oggi. Abbiamo testimonianze antichissime che ci dicono che il divino femminile era preponderante in un certo tipo di società e che poi ci sono stati mille modi di mascherare questa realtà che però si riaffaccia sotto altre spoglie, ad esempio le Madonne della nostra tradizione.
Quindi l’emancipazione va benissimo ma c’è tutto un altro lavoro che deve essere fatto a livello più profondo, a livello culturale che è quello di riscoprire il divino femminile, le dee madri, di riscoprire il nostro passato. Dobbiamo avanzare verso un futuro arcaico.

Mi sembra che questa sia la tua grande passione. Forse nel tuo viaggiare è questo che cerchi, il divino femminile ...
Certamente questo aspetto è presente dappertutto; in ogni paese hanno un nome diverso per chiamare la stessa cosa. Comunque c’è questa origine. E’ come se ci fosse un momento fondativo della civiltà che è femminile. Poi ci sono tantissime altre cose inspiegabili, o che non quadrano, e che cominciano ad essere comprensibili se si fanno altre ipotesi.

Posso chiederti come è il tuo rapporto con tua figlia. Hai sempre cercato di portarla con te nei tuoi viaggi?
Si, per quanto è possibile. Ha quasi 12 anni; come struttura fisica è molto simile al padre però credo di averle passato tutto il mio ribellismo. Zoe ha un senso della giustizia altissimo ed è molto critica, anche nei miei confronti. Qualche tempo fa l’ho portata con me in Libia, nel deserto, e ci ha sorpreso una tempesta di sabbia; non abbiamo dormito per due notti di seguito per tenere la tenda che altrimenti sarebbe volata via. Dopo Zoe mia ha detto: “Mamma tu cerchi sempre di mettere tutto insieme, il lavoro, le vacanze, me…”; io tutta felice ho risposto “E’ tutta la vita che cerco di farlo”. “E’ tutta la vita che sbagli” ha replicato lei! Comunque è un rapporto molto interessante perché lei è diversa da me e questo è affascinante…certo ci unisce il fatto di essere femmine!

Turisti per caso è stata la trasmissione che ha cambiato la vostra vita. A chi è venuta l’idea?

E’ venuta a me. Tutto è partito dalla telecamera. Volevo andare in India ma Patrizio tentennava, allora per convincerlo gli ho detto “Dai, compriamo una telecamera e tu riprendi”. Abbiamo filmato un po’ di cose che abbiamo fatto e al ritorno, montandolo, abbiamo scoperto che era un prodotto di qualità che poteva essere proposto. Tutto grazie a una telecamera. A volte la tecnica ti libera!

Nel tipo di viaggio che voi proponete è sempre centrale il tema del rapporto tra le culture...

Noi tentiamo di suscitare l’interesse profondo per le cose. Quello che sempre mi colpisce è vedere la complessità che si manifesta nel mondo e il tentativo invece di semplificare questa complessità. La semplificazione è secondo me, sempre deleteria. Quando si arriva in un posto nuovo si viene assaliti di domande su ciò che non si conosce, sono domande che fanno anche male; poi, a poco a poco, le domande si sciolgono, cominci ad avere delle risposte o almeno delle intuizioni e a collegare le cose.

Un’altra delle tue passioni è il tango. Tu sei una 'tanghera'. Questo ballo, che è un simbolo argentino, è nato a Buenos Aires nel quartiere de La Boca, un posto abbastanza malfamato che era abitato prevalentemente da emigrati italiani. Cosa c’è di italiano nel tango?
L’omertà. Perché non ti racconti mai nulla di te, né devi sapere nulla dell’altro. Ma d’altra parte è anche un modo di vedere le cose che è adulto, senza illusioni. La vita è dura e non concede sconti e sei tu che devi imparare.

Tu sei sempre in giro ma c’è un altro posto del mondo in cui potresti vivere?
Guarda, nel mio libro Tango inesorabile l’astrologa dice alla protagonista, che è un po’ il mio alter ego, “Ma dove vuoi andare tu con la Luna in Cancro…”; ed è proprio così, io vado in giro ma poi torno sempre all’accampamento che per me è Bologna, sotto la Madonna di San Luca, che è una madonna nera, come Iside la Dea Madre.
(30 settembre 2006)

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