domenica 16 dicembre 2012

Arte. Ventinovegiorni di (resistenza). Intervista a Federica La Paglia

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Arte. It's just a game! Intervista a Maria Rosa Jijon

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Uruguay. Approvata la legge sull'aborto. Legale, ma con molti ostacoli

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L'intellettuale eretica


L'esistenza di Maria Antonietta Macciocchi si inserisce completamente nel Novecento, il secolo breve. E non solo temporalmente ma anche per gli ambiti ideologici che hanno attraversato la vita di questa donna. Partigiana, giornalista, scrittrice, parlamentare, femminista, ma mai ferma a farsi incasellare in un ruolo, sempre alla ricerca dell'anticonformismo e, come sottolineato da Eleonora Selvi nella biografia a lei dedicata, del riconoscimento altrui. La non sopportazione delle regole 'borghesi' e l'originalità derivano, come ben raccontato nelle prime pagine del libro a lei dedicato, da un'infanzia fuori dal comune, vissuta nei primissimi anni di vita di albergo in albergo, a causa del disprezzo del padre verso lo stile di vita borghese, e con un'ammirazione sognante nei confronti del genitore, un personaggio carismatico, in perenne conflitto con le convenzioni sociali. La sua vita adulta invece deve essere stata una continua lotta, in una tensione ideale, tra la volontà di essere libera e l'inevitabile necessità, nel secolo delle ideologie, di trovare un luogo in cui riconoscersi. In questo conflitto, in questa tensione si snoda tutto il suo arco vitale che, come è capitato a molti audaci e spavaldi di quelle generazioni l'ha trascinata per vie traverse e spesso inconsapevoli nei luoghi, fisici e intangibili, in cui si svolgeva la Storia. A Roma città aperta con i GAP, a Napoli nella ricostruzione dopo il conflitto bellico, alla direzione di “Noi Donne” e poi di “Vie Nuove”, con Togliatti e Longo ma anche con Pasolini e Malaparte, a Parigi e ad Algeri, in Cina e tra i giovani del Maggio francese, nel PCI e fuori, con le donne e con Giovanni Paolo II, ultima trasgressiva passione della sua intensa vita. Un personaggio sicuramente fuori dalle righe che Selvi ha avuto la possibilità di conoscere e con la quale ha avviato un rapporto di collaborazione andato avanti per anni. Ma la relazione tra le due donne, la famosa intellettuale e la ragazza appena uscita dall'Università, deve aver trovato una qualche chiave di parità perché Selvi, nella biografia, mai indugia nella tentazione di ridisegnare i fatti, di piegarli ad un affetto che pure traspare tra le righe. Così l'affresco che emerge della vita di Macciocchi è assolutamente fedele alla realtà, a tratti impietoso perché capace di mettere in evidenza le fragilità della protagonista. Fragilità, attenzione, che non sono cedimenti al sentimento o debolezze da operetta. Al contrario sono i nodi irrisolti della sua appartenenza al PCI, nel quale non mancò di agire da vero 'uomo di partito', ossequiente ai dettami di Mosca e di Botteghe Oscure, salvo poi passare per vere e proprie ribellioni che la sua intelligenza acuta ed intuitiva riuscì a canalizzare in progetti originali e di valore (vedi la presenza di Pasolini e Malaparte su “Vie Nuove” o la pubblicazione del carteggio con Althusser). La 'guarigione laica', come ebbe a scrivere Sciascia, avvenne nel 1977 quando a Macciocchi fu rifiutato il rinnovo della tessera al PCI. Il sollievo del lettore nell'arrivare a questo passaggio fondamentale spinge a chiedersi da dove avesse origine un'ostinazione così grande a “voler conciliare l'inconciliabile”. Ma la conquista, alla fine, della completa indipendenza e la possibilità di esercitare appieno l'eresia forse sottraggono, invece di aggiungere, qualcosa all'esistenza di questa donna. Sembra infatti che la sua intelligenza impulsiva patisca la mancanza di un confronto continuo e intenso ma anche, come scrive Selvi, di un riconoscimento esterno che lusinghi il suo narcisismo. Macciocchi è così vera nelle pagine di questa biografia, così eccentrica nella sua mutevolezza, così indisponente nella difesa a oltranza della sua intelligenza, così provocatoria nella sua assoluta certezza di possedere, di volta in volta, la verità, che dispiace, e molto, non averla potuta conoscere.

Eleonora Selvi
Maria Antonietta Macciocchi. L'intellettuale eretica
Aracne, 2012

Recensione pubblicata su Le Monde Diplomatique di Ottobre 2012 

Il Nicaragua nel cuore

Poetessa e scrittrice nicaraguense, guerrigliera e protagonista della rivoluzione sandinista del 1979, femminista e sensuale. Gioconda Belli, latinoamericana di origini italiane che vive negli Stati Uniti, è una donna abituata a rompere gli schemi, a sottrarsi ai ruoli assegnati dalla famiglia, dalla società, dalla politica. Con un amore grande e assoluto: il suo paese


Cosa rappresenta il Nicaragua per lei?
Il Nicaragua è il mio cuore, il Nicaragua è nel mio cuore. È forse una maniera molto banale di dirlo ma è quello che sento e non ho un’altra maniera di esprimerlo. Quando torno nel mio paese, quando comincio a scorgere il paesaggio, quando osservo il panorama verdeggiante sento che la mia anima ritorna nel corpo; che il mio corpo si trasforma nel paese che ho davanti agli occhi. Mi fanno male le ossa, il cuore, addirittura i capelli quando avverto che sta arrivando la pioggia. Sento un’identificazione profonda con la terra nicaraguense, una relazione simbiotica. “Quando lascio il mio paese inizio a morire” dice lo scrittore colombiano Alvaro Mutis, ed è esattamente quello che provo. Il Nicaragua è la fonte della mia vita, della mia poesia, della mia ispirazione. Con la sua abbondanza di vulcani e di acqua rappresenta la passione e la tranquillità. So che non avrei potuto scegliere da sola un luogo che fosse più consono alla mia maniera di concepire la vita.

Nicaragua vuol dire anche rivoluzione sandinista, una passione politica in cui lei è stata una protagonista convinta, partigiana ma mai omologata. Adesso è fortemente critica verso il governo di Daniel Ortega che è stato suo compagno di lotta nel Frente sandinista
.
Il Nicaragua è il paese di Sisifo: ci sforziamo di spingere un macigno verso l’alto ma torna sempre giù. Il problema più grande del regime che sta costruendo Daniel Ortega è che si stanno creando tutte le condizioni per controllare il paese, mantenere il potere il più a lungo possibile ed evitare che si formi un’opposizione compatta che possa impegnarsi in maniera democratica. Stiamo quindi assistendo alla nascita di una dittatura. Però penso che dobbiamo continuare ad avere speranza e fiducia. In America latina si stanno diffondendo una serie di governi che, malgrado un certo grado di autoritarismo e un’ovvia perfettibilità, stanno raggiungendo l’obiettivo di dare alla gente più povera, emarginata, che mai nulla ha potuto, l’accesso alla salute, all’educazione e una speranza in un futuro migliore. Dalle persone che stanno beneficiando di queste politiche di inclusione verranno fuori i leader che rinnoveranno questi stessi governi rendendoli realmente democratici. Questa è la mia speranza.

Le donne sono le protagoniste principali dei suoi romanzi con la loro passione, sensualità, forza ma anche con i dubbi e la conflittualità verso i loro omologhi maschi con cui devono confrontarsi. A quale dei suo personaggi è più legata?
Mi identifico con le mie protagoniste ma devo necessariamente mettere una distanza tra me e loro perché possano avere una personalità propria e vivere delle storie che non siano le mie. È come se fossero figlie mie ed è impossibile prediligere un figlio. Però uno dei libri che mi ha dato più piacere scrivere è stato “L’infinito nel palmo della mano” (Feltrinelli): la storia di Eva che si è caricata dal principio di tutte le colpe dell’umanità allontanando il genere umano dal paradiso terrestre. Sulla sua immagine è stato costruito, sin dai tempi antichi, l’archetipo femminile: Eva è giunta fino a noi come una donna curiosa, immatura, istintiva che ci ha condannati a morte e ci ha portato fuori del Paradiso. Si tratta di una rappresentazione ingiusta contro la quale mi sono ribellata. Ritengo invece la sua profonda umanità non solo seducente, ma sapiente sotto molti punti di vista. Ho cercato di riscattare Eva in una novella in cui decostruisco la mitologia maschilista che nega l’evoluzione. Penso che in questo senso sia un libro rivoluzionario.

Nel suo ultimo libro “Nel paese delle donne” (Feltrinelli) immagina un mondo governato al femminile ed esplora la relazione tra donne e potere. È un romanzo politico e provocatorio che infatti ha irritato tante donne
Ancora oggi le donne che arrivano ad esercitare il potere si comportano come uomini e questo è il motivo per cui ho scritto ‘Nel paese delle donne’. Quando ci si propone di arrivare ad una posizione di governo sarebbe necessario fare prima una riflessione profonda su cosa significa esercitare il potere in una maniera differente, in una maniera femminile. E avere chiaro che ciò comporta sempre una sfida aperta al potere maschile. Nel libro, che rappresenta un’utopia femminile, prendo in giro tutte le convenzioni tradizionali e conservatrici che ‘stabiliscono’ come deve essere una donna al potere e metto in campo una serie di questioni fondamentali che hanno a che vedere con la nostra crescita personale, con le radici del nostro modo di concepire il mondo, con la nostra infanzia. È proprio lì che dobbiamo entrare per cambiare il punto di vista e l’interpretazione del mondo. È stato un esercizio intellettuale in cui ho immaginato delle donne che decidono di alterare il potere ed esercitarlo in forma materna, femminile, sessuata. Viviana Sansòn, la presidentessa, dice alle sue compagne di avventura: “Io immagino un partito che dà al suo paese ciò che una madre dà a un figlio, che se ne prenda cura come una donna si prende cura della sua casa”. È quasi uno scherzo ma il messaggio profondo che ogni donna può cogliere è che bisogna femminilizzare il potere, l’unica maniera di salvare il nostro pianeta. Riformare e rivoluzionare il potere vuol dire trasformare la maniera di esercitarlo e questa chiave è in mano alle donne.

La cura, vista come espressione alta del senso materno, come capacità di entrare in relazione, in empatia con il mondo, si intravede spesso nelle pagine da lei scritte ed è riconducibile al legame con la Madre Terra, anche qui femmina, riscoperta attraverso una visione propria dei popoli originari che abitavano l’America latina prima della conquista da parte dei colonizzatori spagnoli. Quanto è importante l’influenza di questa concezione del mondo nella sua visione della vita e dei rapporti interpersonali?
La cultura indigena ha avuto una grande influenza su di me. Una delle cose che mi ha maggiormente turbato e che mi ha portato a mettere in discussione la realtà in cui vivevo, è stato scoprire che la storia che ci avevano raccontato sulla coesistenza pacifica tra i colonizzatori spagnoli e la popolazione indigena era una bugia e che invece c’era stata una resistenza tremenda da parte della popolazione ancestrale. La lettura di alcuni cronisti spagnoli mi ha aperto gli occhi sulla storia delle donne che non volevano più fare l’amore con i propri compagni per non generare figli che sarebbero stati schiavi degli spagnoli. Ho iniziato a studiare il ruolo delle donne in queste società e ho scoperto delle cose molto interessanti. Nella religione mesoamericana non c’è un Dio uomo ma ci sono delle coppie di dei, uomo e donna. È quindi presente un mondo più bilanciato, più equilibrato tra gli elementi maschili e quelli femminili. Questa idea per me è fondamentale nella costruzione di una società più giusta, per poter pensare e progettare un mondo differente. Questo ha influenzato il mio lavoro di scrittrice sia nell’ispirazione che nella responsabilità che si manifesta nella ricerca dell’armonia tra il punto di vista etico e quello estetico. Questa tensione che esiste tra gli uomini e le donne, questo bilanciamento, può produrre una relazione più equa che può dare felicità ed equilibrio alla stessa umanità.

La rivoluzione sandinista del 1979 ha segnato profondamente la sua vita. È stata una grande gioia e una grande delusione. Lei scrive nella sua biografia “Il paese sotto la pelle” (edizioni e/o): "Tuttavia nessuno può convincermi che il piacere che inizia e termina con se stessi possa minimente paragonarsi all’esaltazione e alla profonda gioia di quando si cerca di cambiare il mondo”. La pensa ancora così?
Definitivamente si. Io sono ottimista. Credo che gli esseri umani vorrebbero che tutti i loro sogni si compissero durante la loro vita ma la storia è un processo molto lungo ed è assai probabile che non potremo assistere alla realizzazione dei nostri sogni. Ma è necessario vivere con la consapevolezza che le nostre azioni avranno un impatto anche al di là di noi, nel futuro, e dobbiamo fidarci della saggezza e della capacità di sognare che lasciamo agli altri.

Pubblicato su D di Repubblica online

PARAGUAY : DIETRO IL GOLPE BIANCO


L’approssimarsi delle elezioni presidenziali, e la conseguente necessità di recuperare posizioni di forza in America Latina, avevano riproposto agli USA l’esigenza di riaffermare la propria presenza nel continente sudamericano, soprattutto attraverso la longa manus delle imprese multinazionali. All’interno di questo processo si iscrive il golpe cosiddetto “bianco” avvenuto il 22 giugno in Parraguay e che ha portato alla destituzione del Presidente della Repubblica, l’ex vescovo Fernando Lugo, grazie a tecnicismi parlamentari minuziosamente preparati. La destituzione del Presidente è stata possibile perché il governo non è stato in grado di contrastare efficacemente le oligarchie paraguayane, i cui privilegi economici, di tipo feudale, sono strettamente legati al latifondo (l’89% dei terreni è nelle mani del 2% della popolazione) e a un modello estrattivista dell’agricoltura, esitando a chiedere l’appoggio dei movimenti sociali.

Lugo, pur avendo sconfitto elettoralmente il potere stroessnerista, radicatissimo nel Paese, era stato costretto ad allearsi con il Partito Liberale, avversario ‘storico’ del regime dittatoriale del generale Stroessner; e tale alleanza ha condizionato sensibilmente l’azione del governo. La crisi era iniziata con un conflitto tutto interno all’amministrazione dello Stato tra il Ministero di Agricoltura e Allevamento guidato dal liberale Enzo Cardozo e il Servizio Nazionale di Qualità e Sanità Vegetale delle Sementi (SENAVE) guidato da Miguel Lovera.

Il 21 ottobre 2011, il Ministero di Agricoltura e Allevamento, senza seguire le procedure previste dalla legge, ratifica la semente del cotone transgenico Bollgard BT, della multinazionale americana di biotecnologie Monsanto, per la semina commerciale in Paraguay. Il SENAVE invece, proprio a causa della mancanza delle garanzie necessarie, non iscrive questa semente transgenica nel registro delle coltivazioni. Nei mesi successivi il giornale ABC Color apre una campagna mediatica contro SENAVE e il suo presidente denunciando casi di corruzione e di nepotismo. ABC Color appartiene al gruppo Zuccolillo, un’azienda legata all’Unione delle Aziende della Produzione (UGP) di cui Monsanto fa parte. Silvia Martínez, la sindacalista che denuncia gli scandali, è la moglie di Roberto Cáceres, rappresentante tecnico di varie aziende agricole fra cui Agrosán, acquisita per 120 milioni di dollari da Sygenta, altra (nota) multinazionale, tutte socie di UGP. Il punto di contatto tra UPG e Zuccolillo è Héctor Cristallo, il quale ha incarichi in varie aziende del gruppo Zuccolillo. Il giornalista Idilio Méndez Grimaldi rileva che “Aldo Zuccolillo (è) direttore proprietario del quotidiano ABC Color dal 1967, anno della sua fondazione durante il regime di Stroessner. e dirigente della Società Interamericana di Stampa (SIP). Il gruppo Zuccolillo è socio principale in Paraguay di Cargill, una delle multinazionali più importanti del commercio agricolo nel mondo”[1]. Nel giugno del 2012 la campagna si intensifica. UGP pubblica in ABC Color ’12 argomenti per destituire Lovera’. “Questi presunti argomenti – scrive ancora Méndez Grimaldi – vengono presentati al vicepresidente della Repubblica, Federico Franco (membro, come lo stesso ministro dell’Agricoltura, del Partito Liberale) che in quel momento svolge la funzione di Presidente in assenza di Lugo, il quale si trovava in visita in Asia”[2]. Poche ore dopo nei pressi di Curuguaty avverrà il massacro su cui sarà costruito il giudizio politico che porterà alla destituzione di Lugo.

La zona dove si verifica lo scontro tra contadini e polizia si trova nella proprietà Morombì (oltre 70mila ettari) del latifondista Blas Riquelme. Riquelme ha un passato tutt’altro che specchiato: ha accumulato la sua fortuna durante la dittatura di Stroessner e poi si è schierato con il generale Andrés Rodríguez, autore del golpe che destituì lo stesso Stroessner; è stato a lungo presidente del Partido Colorado (il Partito del generale dittatore) e senatore della Repubblica, è proprietario di supermercati e allevamenti. Entra direttamente in questa vicenda a causa di un territorio di circa 2000 ettari appartenenti allo Stato paraguayano e di cui si è appropriato abusivamente con espedienti legali. I contadini senza terra chiedono al governo di Lugo che quel territorio venga distribuito a loro. L’autorità giudiziaria si esprime invece a favore di Riquelme e ordina lo sgombero, sollecitando l’intervento del Gruppo Speciale Operazioni (GEO) della polizia nazionale, i cui membri sono stati per la maggior parte addestrati in Colombia, durante il governo Uribe. Scrive ancora Méndez Grimaldi: “Solo un sabotaggio interno ai quadri di intelligence della polizia può spiegare l’imboscata nella quale sono morti 6 poliziotti. Non si comprende infatti come poliziotti altamente addestrati nel contesto del Plan Colombia siano potuti cadere in una trappola tesa dai contadini”. Fra i poliziotti morti c’è il commissario Erven Lovera, comandante del GEO e fratello del tenente colonnello Alcides Lovera, capo della sicurezza del presidente Lugo. Il primo ad essere ucciso tra i contadini è invece Avelino Espinola, dirigente della lotta per il recupero delle terre[3]. E’ sfruttando questo avvenimento che il Senato di Asunciòn ha provocato l’’impeachment di Lugo, destituendolo in quanto ‘responsabile politico’ della morte di 17 persone e consegnando la presidenza al liberale Franco.

Poco dopo (ai primi di agosto), il ministro della Salute, Antonio Arbo (che ha sostituito la ministra Esperanza Martinez), decideva di autorizzare l’uso in Paraguay del VT Triple Pro, un tipo di mais geneticamente modificato elaborato da Monsanto che richiede l’uso del diserbante glifosato per il suo sviluppo. L’erbicida è oggetto di studi e rapporti in tutto il mondo per la sua elevata tossicità. Il nuovo dirigente del SENAVE, Jaime Ayala, aveva intanto già abrogato la norma 1160 del 26 dicembre 2011 che regolamentava le fumigazioni in larga scala nelle grandi monoculture: per proteggere i diritti umani e ambientali delle comunità contadine e indigene quella norma imponeva di informare preventivamente gli abitanti delle zone interessate sull’orario delle irrigazioni e sui prodotti utilizzati.

L’ex Presidente Lugo ha rivelato altri retroscena che sarebbero all’origine del ‘golpe bianco’ e coinvolgerebbero anche un’altra multinazionale, la canadese Rio Tinto Alcan (RTA). La multinazionale in questione, che ha sede a Montreal, ha un fatturato di 2.786 bilioni di dollari e 68.000 dipendenti ed è leader nella produzione e lavorazione dell’alluminio. L’accordo con il governo paraguayano e la RTA per un impianto di 4 miliardi dollari sulle rive del fiume Paraná procedeva a rilento a causa delle preoccupazioni dell’amministrazione Lugo per l’impatto ambientale dello stabilimento e per il prezzo dell’energia che la multinazionale dovrà pagare. Il nuovo Presidente, Franco, si è già accordato il 6 luglio, appena 14 giorni dopo la destituzione di Lugo. La velocità con cui si sono concluse le trattative apre lo spazio a dubbi sul fatto che il cambio di Presidente fosse già stato progettato a livello internazionale. “La persona che era rappresentante di Rio Tinto Alcan in Paraguay è stata nominata viceministro dell’Industria e del Commercio“, denuncia Jorge Galeano, segretario generale del Movimento Agrario Popolare (MAP).

Se all’interno del Paese il ‘golpe bianco’ ha dato un impulso decisivo alle politiche neoliberali, su scala internazionale non ha però portato i frutti sperati. UNASUR (lUnione delle Nazioni Sudamericane) e MERCOSUR (Mercato Comune Sudamericano) hanno infatti sospeso il Paraguay ‘’in attesa che venga ripristinato l’ordine democratico”; e, nel giro di un mese, il Venezuela è stato ammesso nel MERCOSUR, scavalcando di fatto il Senato paraguayano che da 6 anni vietava il suo ingresso nel blocco dei Paesi progressisti del continente: è una sconfitta anche per la diplomazia statunitense, per la quale l’isolamento politico ed economico di Chavez costituisce uno dei principali obiettivi strategici nello scacchiere sudamericano. L’entrata del Venezuela nel MERCOSUR ha inoltre una fondamentale importanza economica, immettendovi un PIL di 397.000 milioni di euro che porta il PIL complessivo dei Paesi aderenti a 3.635 miliardi (82,3% del PIL totale del Sud America), una superficie di quasi 13 milioni di chilometri quadrati e più di 270 milioni di abitanti (vale a dire 7 su 10 sudamericani) .

Nel Paraguay, ormai isolato a livello continentale, ma dove cresce l’aggressività di una ricchissima borghesia modello USA che vive sui privilegi e sullo sfruttamento di contadini senza terra ed esiliati dal proprio territorio dai grandi latifondi transnazionali, si svolgeranno le elezioni il prossimo 21 aprile. La partita è ancora aperta.

1) Monsanto colpisce in Paraguay: i morti di Curuguaty e il processo politico a Lugo, di Idilio Méndez Grimaldi (Giornalista, ricercatore e analista. Membro della Società di Economia Politica del Paraguay, autore del libro “Gli eredi di Stroessner”)), tratto da Informare per resistere. http:/www.informarexresistere.fr /2012/13/monsanto-colpice-in-paraguay#xzz27U4Sy1Ea

1) Ibidem

2) Marina Forti, Paraguay, indagine su un massacro, cfr. il manifesto, 12 settembre 2012.

Pubblicato su http://www.cassandrarivista.it/index.ph/mondo/                                                                                                                                          

mercoledì 22 febbraio 2012

Dopo il terribile stupro delle scorse settimane ai danni di una ragazza, all'uscita di una discoteca, i tre responsabili hanno ripreso servizio nel loro reggimento e 'pattuglieranno' le strade de L'Aquila. Ecco il comunicato del Comitato 3e32.




Ieri i tre caporali del 33esimo reggimento Acqui indagati per lo stupro di Pizzoli sono rientrati in servizio dopo un breve congedo nel giorno in cui lo stesso reggimento ha preso il posto degli Alpini nei servizi di pattugliamento del centro storico nell’ambito dell’operazione “Strade Sicure”.
Ci sembra il minimo quindi chiedere al 33esimo Reggimento Artiglieria Acqui e alle istituzioni competenti che i tre caporali indagati per il violentissimo stupro vengano immediatamente sospesi dal servizio in via precauzionale e che di questo venga reso nota pubblicamente.
Vogliamo la certezza di non trovare questi indagati per stupro a svolgere un qualche ruolo di tutori dell’ordine nell’ambito di un’operazione chiamata “strade sicure”.
In caso contrario non ci verrebbe più data la possibilità di fare distinzioni.
Abbiamo sempre criticato la militarizzazione della nostra città come abbiamo sempre detto che il garantismo per noi è un valore.
Questo però non è garantismo, è omertà complice degli stupri e della cultura della sopraffazione che li sottende. Non possiamo stare a guardare.

Comitato 3e32