mercoledì 8 febbraio 2012

In viaggio sul filo della scrittura

In Sud America, il mondo del “realismo magico”, è possibile imbattersi in una grande narratrice italiana e scoprire quanto sia amata anche fuori dal nostro Paese

Passeggiando per il Sud America, il mondo del “realismo magico”, è addirittura possibile imbattersi in una grande narratrice italiana e scoprire quanto sia amata anche fuori dal nostro Paese. In questi mesi di permanenza in America latina e di desiderata immersione in quanto di differente e speciale offre questa terra, uno degli incontri che più profondamente mi ha toccato è stato quello con le mie radici culturali grazie ad una donna che, dal mio paese, si è spinta fino a qui.
“Comincio sempre con un personaggio. Un personaggio mi viene a trovare, in maniera pirandelliana se volete. Bussa alla mia porta, si siede, chiede un caffè. Io gli offro un caffè; mi racconta la sua storia e qualche volta, anzi quasi sempre, se ne va. Rimane un po’ il rimpianto, ma se ne va. Quando il personaggio, dopo aver bevuto il caffè, mi chiede la cena e dopo avermi chiesto la cena mi chiede un letto per dormire, e così via, vuol dire che si è accampato nella mia casa, nella mia testa.” Così Dacia Maraini ha risposto al folto pubblico che le domandava con interesse come nasce un suo romanzo. L’incontro con la scrittrice, che si è svolto il 20 aprile scorso presso l’Istituto di Cultura Italiana di Montevideo, in Uruguay, ha svelato non solo il grande affetto e il riconoscimento di cui la Maraini gode in tutto il mondo, ma anche quanto interesse ci sia intorno alla lingua e alla letteratura italiana. Un pubblico assai numeroso e puntualissimo ha assistito, in silenzio, per oltre due ore, a quella che doveva essere la presentazione del suo ultimo libro e che invece è stata un misto tra una curata lezione di letteratura e un emozionante recital di poesie. L’autrice racconta la genesi del suo “Colomba”, ambientato in una terra, quella abruzzese, tanto amata come traspare dalle sue parole; rivela il desiderio di narrare, attraverso le vicende del paese immaginario di Touta, nome sannita che vuol dire comunità, la storia italiana dell’ultimo secolo, delle sue guerre, dell’emigrazione, dei cambiamenti di costume. Un tipo di narrazione femminile che parte dall’esperienza personale per ricongiungersi ai grandi eventi, che legge gli sconvolgimenti di una nazione attraverso i piccoli-grandi avvenimenti della vita quotidiana. Dacia legge anche alcuni brani del libro con la sua voce limpida e serena creando un’emozione sospesa nella sala.
Poi, con la ferma soavità che la contraddistingue, comincia a parlare di una sua passione: “Voglio portarvi un messaggio attraverso la poesia, uno degli strumenti di conoscenza di una lingua perché ha una forza di comprensione basata sulla musicalità interna che altre forme di letteratura non hanno”. E così, accompagnata dal musicista Giuseppe Moretti, che intramezzerà le letture con interessanti esperimenti traducendo la musicalità propria della poesia classica italiana in ballate struggenti, Dacia racconta: il suo amore di sempre per Giacomo Leopardi “scrittore laico, critico, moderno, di grande libertà” di cui leggerà brani scelti dal Canto notturno di un pastore errante dell’Asia; la sua amicizia con Pierpaolo Pasolini grazie al quale si è avvicinata a Giovanni Pascoli, “non guardare quello che la scuola italiana ha fatto di Pascoli” - diceva Pasolini che sul poeta aveva scritto la sua tesi di laurea - “apprezza invece la sua intelligenza linguistica e la sua modernità”; l’ammirazione per Elsa Morante “scrittrice fiabesca, intensa, febbrile, la cui fantasia gioca con gli eccessi”.
Alla fine c’è ancora il tempo per rispondere alle domande del pubblico e, dopo, per firmare libri, scambiare saluti, condividere ricordi con le tante persone che si mettono ordinatamente in fila per poterle parlare e alle quali Dacia Maraini risponde sorridente, con lo sguardo attento.
Anche io mi avvicino e chiedo di poterle fare alcune domande.
Sono pochi gli scrittori italiani che arrivano fin qui. Noi, oggi, abbiamo avuto il privilegio di ascoltare una vera e propria lezione di letteratura; cosa la spinge a viaggiare in posti così distanti e differenti?
Il mio amore per la letteratura. Il mio non vuole essere tanto un insegnamento, quanto un contagio. Cerco di contagiare gli altri con il mio amore per i libri e per le poesie.
Il tema del viaggio. Nei suoi libri sono spesso presenti. La sua stessa vita ne è stata costellata, a partire da quello che, piccolissima, intraprese con i suoi genitori alla volta del Giappone. Quanto influisce una storia familiare in questo amore per i viaggi?
E’ vero. La mia è una famiglia che ha sempre viaggiato. Mia nonna era una gran viaggiatrice. Si è fatta tutta la Persia a piedi, nel 1920. Mio padre, un antropologo, grande camminatore, con un profondo amore per la conoscenza di culture diverse, mia madre anche. Certamente il viaggio fa parte del mio destino familiare. Ho ereditato questa passione.
Non è una turista però. E’ una viaggiatrice...
Detesto il turismo anche se ne capisco le ragioni. Lo detesto per quel tanto che c’è di preordinato, di costruito, di già fatto. Io cerco sempre di andare dove non c’è il turismo di massa perché lì tutto diventa omologato. Se si vuole conoscere il mondo si deve sfuggire al turismo. Ormai sono rimasti pochi i luoghi incontaminati. Uno dei modi di evitare questo appiattimento culturale è quello di conoscere la gente del luogo, di parlare, addentrarsi, ascoltare, leggere quello che si scrive sul posto. Per esempio quando viaggio leggo molto i romanzi degli autori locali.
Rispetto all’America Latina, e in particolare alla zona del Rio de la Plata, quali sono gli autori che legge di più?
Amo la letteratura latinoamericana e la leggo moltissimo. Mi piacciono anche i poeti, per esempio Gabriela Mistral è una poetessa che amo intensamente, poco tradotta in italiano; poi Neruda, che invece è tradottissimo. E’ anche vero che facciamo fatica a distinguere gli scrittori ispanoamericani: per noi Julio Cortàzar o Jorge Amado appartengono alla stesso mondo linguistico e ci concentriamo meno sul paese da cui provengono. Questo universo linguistico ha avuto, per me, una grande importanza perché c’è una forza immaginativa, visionaria e delirante che deve essere propria della letteratura. Questo elemento di delirio e di oniricità è molto importante.
Le donne dei suoi romanzi sono sempre molto tenaci, determinate e coraggiose. Secondo lei in quale battaglia, in quale lotta, le donne di oggi debbono mettere questa tenacia e questa determinazione?
Difendere la propria dignità. Nel momento in cui le donne la perdono si fanno trattare male. Troppe di noi non rispettano se stesse, non hanno fiducia in se stesse e quindi non vengono rispettate dagli altri. L’attenzione per la dignità femminile deve nascere in primo luogo da noi. Dobbiamo considerare le donne in quanto esseri completi, integri, non soltanto dei corpi ma delle persone parlanti, pensanti. E di conseguenza non bisogna accettare che altre donne vengano trattate con mancanza di dignità perché poi si riversa su tutte noi. Non è facile perché il mondo è tutto costruito sulla totale mancanza di rispetto verso il genere femminile però se ci mettiamo insieme forse ci riusciamo. Si lotta. Per me questa è la battaglia più importante. Poi da questa derivano tutte le altre.
In pochi minuti Dacia Maraini viene portata via, la gente si dilegua, e mi ritrovo fuori in una fresca e magica notte latinoamericana, con il cuore smarrito da tanta dolcezza e profondità, a chiedermi. “Che fai tu, luna, in ciel?/ dimmi, che fai, silenziosa luna?/ Sorgi la sera, e vai,/ Contemplando i deserti; indi ti posi.”

(01 Giugno 2005)

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