mercoledì 8 febbraio 2012

Teresa Aristizabal. Ruta Pacifica de las Mujeres

Abbiamo incontrato Teresa Aristizabal della Ruta Pacifica de las Mujeres, e ci siamo fatte raccontare cosa accade in Colombia, quale è la situazione delle donne e cosa le stesse chiedono alla politica

In Colombia un conflitto che dura da 50 anni. All'origine di tutto la gigantesca disparità sociale. Alla base gli scontri tra Esercito, milizie paramilitari (le Autodifese Unite della Colombia - AUC) e gruppi armati di opposizione, le FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) e l' ELN (Ejercito de Liberacion Nacional). In mezzo la popolazione civile e quanti vorrebbero fare politica, sindacato, informazione, solidarietà. E le donne. Secondo quanto denunciato dalla ONG OXFAM l'omicidio di donne e la violenza sessuale sono in spaventoso aumento. In uno studio recente i noti dati: “489.687 donne hanno subito violenza sessuale dal 2001 al 2009, per una media di 6 donne ogni ora”, e più dell’80% degli stupri sono imputabili all'Esercito o ai paramilitari. Abbiamo incontrato Teresa Aristizabal della Ruta Pacifica de las Mujeres, e ci siamo fatte raccontare cosa accade in Colombia, quale è la situazione delle donne e cosa le stesse chiedono alla politica.
Che cosa è la Ruta Pacifica de las Mujeres?
La Ruta Pacifica de las Mujeres è un’organizzazione, che conta attualmente 4000 donne, e che nasce in Colombia nel 1996 con lo scopo di mettere in relazione le donne colombiane e far conoscere al mondo la situazione di violenza che si vive quotidianamente nel nostro paese, in particolare nei confronti del genere femminile. Una violenza che si manifesta nello spostamento forzato delle popolazioni, nella violenza sessuale, nell’omicidio e la sparizione di donne e delle loro famiglie, nel reclutamento forzato di bambini e bambine. La Ruta è inizialmente frutto della solidarietà delle donne e dopo qualche anno si avvicina alle Donne in Nero per poter raccontare al mondo quello che succede alle colombiane strette in un conflitto che dura da più di cinquanta anni. La nostra proposta politica è quella di poter partecipare ai tavoli di negoziazione con gli attori armati di questo conflitto; la nostra parola d’ordine è “senza la voce delle donne la verità sulla guerra non sarà mai completa”.
Quale è attualmente la situazione politica?
L’attuale Presidente, Juan Manuel Santos, per quanto cerchi di distanziarsi da Uribe è il suo erede politico. Parla molto di riforme ma la realtà è che sta offrendo il paese a potenze straniere, ad esempio firmando il Trattato di Libero Commercio con gli USA. Non rappresenta per noi una alternativa perché continua a sostenere un’ideologia militarista, guerresca, di violenza permanente che non fa altro che continuare a spogliare il nostro paese delle sue ricchezze economiche, culturali e politiche.
Quali sono le proposte politiche de la Ruta Pacifica de las Mujeres per la risoluzione del conflitto?
Ci siamo concentrate inizialmente in un lavoro di appoggio e solidarietà alle donne e alle comunità in cui il conflitto era più forte; aree geografiche come Putumayo, Antioquia, Medellin, Cauca, Nariño. Da otto anni ci siamo accorte che accanto al lavoro di solidarietà era necessario esercitare una pressione politica per l’attuazione di leggi contro la violenza. Nel 2008, grazie al lavoro nostro e di altre organizzazioni femminili, siamo riuscite ad ottenere due leggi: la legge 1257/2008 che stabilisce norme di sensibilizzazione, prevenzione e sanzioni nei confronti della violenza e della discriminazione contro le donne e la Auto 092 che riconosce la situazione di spostamento forzato della popolazione che coinvolge quasi 5milioni di cittadini dei quali l’85% donne. La terza azione che portiamo avanti è l’educazione per i diritti umani e la pace con le donne colombiane. Siamo antimilitariste, pacifiste, non violente e femministe.
In che relazione siete con la senatrice Piedad Córdoba (la donna che ha negoziato, insieme al presidente venezuelano Hugo Chávez, con le FARC un accordo umanitario per la liberazione unilaterale di prigionieri, ndr)?
Piedad Córdoba è con noi sin dall’inizio del nostro percorso e molte lotte le abbiamo fatte insieme. Le sue battaglie, che sono le nostre, l’hanno esposta a minacce e violenza e quindi è importante, per proteggere la sua persona e la sua vita, il nostro accompagnamento e la nostra solidarietà. Negli ultimi mesi ha dovuto nuovamente rifugiarsi all’estero per mettersi al sicuro; è tornata da poco ma potrà contare sulla nostra protezione ogni volta che sarà necessario.
Come nasce il suo personale coinvolgimento nella Ruta?
Sono nell’organizzazione sin dall’inizio. Sono assistente sociale e lavoro nella regione di Urabà una zona coltivata principalmente a banane per l’esportazione in Europa e nel resto de mondo. Urabà si trova al confine con Panama ed è considerata un’area strategica da tutti gli attori armati. La popolazione civile è prigioniera di questa lotta. Il mio lavoro mi ha dato la possibilità di assistere direttamente ad episodi di violenza, discriminazione, emarginazione delle donne delle comunità locali. Un donna, nel giro di 3 o 4 giorni può essere violentata dai militari, dalla guerriglia e anche dall’esercito nazionale. L’assistere in prima persona a questa situazione mi ha fatto unire alle altre donne, insieme diciamo che non ci fermeremo fino a quando la Colombia non sarà libera e in pace.

(19 Dicembre 2011)

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