mercoledì 8 febbraio 2012

C'è un tempo per... Il punto di vista di Michela Marzano

Nel mondo occidentale la lentezza è percepita come un disvalore. Soprattutto le donne sembrano vittime dell'idea che 'il fare tanto e in fretta' sia un dovere.

 
Ogni santo giorno ci svegliamo e comincia la corsa; la giornata si apre di fronte ai nostri occhi come un baratro in cui ‘velocemente’ precipitiamo risucchiati dalle centomila cose da fare. Aspettiamo le ferie per poterci ricaricare dal tour de force quotidiano ma spesso anche il tempo della vacanza ci riserva file e folle che ci fanno ripiombare nell’usuale corsa ad ostacoli.
Chiediamo ad una filosofa, Michela Marzano, cattedra di Filosofia Morale all’Università Parigi 5, di aiutarci a districare la contraddizione che ci vede catturati nelle rete della velocità anche se desidereremmo andare ‘piano piano’. E scopriamo quale è la sua ‘strategia’ dei tempi diversi.
Comincerei con una riflessione generale sul termine lentezza e sul significato che attribuiamo a questa parola: quando un individuo viene definito ‘lento’ è sempre fatto con un’accezione negativa. Eppure la lentezza è uno spazio di riflessione e di approfondimento, quindi non necessariamente negativa, anzi…
Nella società contemporanea la parola ‘lentezza’ è desueta ed è utilizzata per qualificare tutto ciò che vogliamo indicare come negativo. Siamo una società che valorizza la velocità anche a scapito di quelli che possono essere i danni collaterali che questa inevitabilmente porta con sé e soprattutto senza considerare quello che si perde con la rapidità. La velocità è sicuramente una qualità ma la sua natura è fortemente condizionata dalle situazioni nelle quali si utilizza; a forza di fare, pensare, reagire velocemente si fanno molti errori e si perde di vista il fatto che per poter avere un contatto con la propria interiorità, costruire relazioni profonde e durature ci vuole la lentezza. Bisogna poter lentamente avere la possibilità di fare ciò che si desidera, bisogna lentamente conoscere le persone che si incontrano e lentamente stabilire una relazione di fiducia. ‘Chi va piano va sano e va lontano’: perdendo la lentezza abbiamo smarrito anche la consapevolezza della necessità di andare lontano.
Le donne sono stritolate in questa disputa lentezza/velocità. Le statistiche sulle ore di lavoro giornaliero ci dicono che in media lavorano molto di più degli uomini e quindi anche più velocemente. Non si parla più di rispetto di tempi della persona ma abbiamo inventato una nuova terminologia: la ‘conciliazione’ dei tempi.
E’ il grande problema di tutti e delle donne in particolare. Dovendo vivere più giornate in ventiquattro ore, dovendo accumulare una serie di obblighi e responsabilità, le donne sono costrette ad agire e pensare con grandissima velocità e si infilano in un tunnel in cui perdono l’intensità delle relazioni e degli eventi che vivono, per non parlare della salute. Arriva un momento in cui le energie finiscono e le donne si trovano sole; dovrebbe esserci allora un tempo del recupero che spesso viene però negato.
I tempi delle donne in effetti sarebbero ‘tempi lenti’. Mi riferisco ai nostri ritmi fisiologici, ad esempio il ciclo mestruale che è scandito da una durata prestabilita o il momento della gravidanza che è il ‘tempo lento’ per eccellenza in cui avvengono dei processi straordinari che solo in quel periodo possono accadere.
E’ vero anche se ultimamente anche questi processi sono sempre più ravvicinati, proprio per la vita che viviamo, con conseguenze facilmente immaginabili anche sulla salute. Un conto è scrivere un articolo rapidamente o andare a fare la spesa di corsa ma quando è il nostro stesso corpo ad essere preso dalla velocità i disturbi riguardano il livello fisico e fisiologico.
C’è poi la contraddizione tra il tempo che viene vissuto velocemente e i nostri corpi sui quali vorremmo cancellare i segni del tempo passato.
E’ un fenomeno molto comune che si verifica perché siamo schiacciati dalle ingiunzioni contraddittorie. Da un lato siamo indotti ad agire velocemente e dall’altro ci viene trasmessa la necessità di fermare il tempo sull’unico punto sul quale invece bisognerebbe lasciarlo passare, cioè l’immagine del proprio corpo. Da un lato bisogna seguire il corso delle cose senza mai ‘perdere’ il tempo e dall’altro c’è l’obbligo contraddittorio di fermare il livello fisico, di non tollerare i segni del tempo. Ciò è impossibile; si corre per bruciare le tappe come se non fossero mai state attraversate e si vuole restare fermi come in una foto istantanea.
La filosofia, che è la sua passione e la sua professione, ha bisogno di una riflessione che passa obbligatoriamente attraverso la lentezza del pensiero. Come vive lei, che è una donna dinamica e perfettamente integrata nel nostro sistema di vita, questa dicotomia.
Vivo questa dualità in maniera difficile ma ho cercato di trovare una soluzione è che è quella della divisione del tempo. Ho creato un tempo differente per me in cui leggo, rifletto e scrivo, in isolamento; è uno spazio personale completamente separato dal momento ‘dell’attività’ in cui insegno, faccio conferenze, viaggio. Nel mio ‘isolamento,’ non rispondo al telefono, non apro le e-mail, non mi rendo disponibile per convegni e dibattiti perché ci sono periodi dell’anno in cui cerco di ritirarmi per poter riflettere. Ciò mi è necessario perché altrimenti non avrei la possibilità di pensare, di approfondire determinati temi. Questo isolamento mi permette, negli altri momenti, di vivere in contatto più stretto con il mondo. In fondo questa ‘teoria’ dei tempi ‘differenti’ c’è sin dall’Ecclesiaste che dice “Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C'è un tempo per nascere e un tempo per morire…”. La scansione del tempo esiste da sempre, quello che abbiamo perso è la possibilità di avere ‘tempi diversi’. Vogliamo fare tutto nello stesso momento, e questo è il problema. Dobbiamo rassegnarci all’impossibilità di conciliare tutto. Anzi, penso che l’idea della conciliazione sia profondamente sbagliata perché bisogna poter avere la possibilità di vivere pienamente i tempi diversi.
Ci sono dei luoghi privilegiati che l’aiutano ad ‘isolarsi’.
Quando si tratta di scrivere non c’è per me spazio migliore che quello della mia casa. E’ il luogo in cui lavoro, scrivo e penso perché mi da la possibilità di isolarmi dal mondo ma di avere tutti gli strumenti che mi permettono l’elaborazione. Quando ero giovane passavo molto tempo in biblioteca adesso preferisco comprare i libri, anche se sono molto cari e occupano tanto spazio, e, nella mia casa, interagisco con i libri e con le idee.
Cosa rappresentano per lei le vacanze?
La vacanza è per me un ulteriore altro tempo in cui né faccio, né penso. E’ il tempo della ricarica in cui mi dedico ai miei familiari.

(18 Luglio 2011)

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