mercoledì 8 febbraio 2012

Incontro solo nell’accoglienza. Intervista a Renata Pepicelli

Un mondo variegato e complesso a cui prestare ascolto.

 
L’interesse per il femminile è una costante nella vita di Renata Pepicelli e l’attrazione per i popoli del Mediterraneo, che ha sempre percepito come molto prossimi, l’ha condotta ad occuparsi del mondo islamico contemporaneo e questioni di genere. L’abbiamo incontrata a Roma, alla presentazione del suo ultimo lavoro, “Femminismo islamico”, in cui racconta la nascita e l’affermazione di una nuova forma di attivismo femminile che contesta i settori più integralisti del mondo islamico e i pregiudizi occidentali.
Davanti ad una tazza di tè ci ha raccontato quello che ha potuto osservare con i suoi occhi.

Il mondo arabo è spesso rappresentato in maniera monolitica ma è un universo complesso e in trasformazione...
Il mondo islamico è variegatissimo e le battaglie delle donne cambiano molto a seconda dei contesti. Mi occupo prevalentemente di Marocco in cui il discorso femminile e femminista è molto attivo; nel 2004 è entrato in vigore un codice della famiglia che è stato salutato come molto progressista perché mette in discussione in maniera sostanziale l’inferiorità femminile nei rapporti familiari. Le femministe marocchine lo definiscono un successo, anche se ci sono degli aspetti ancora in chiaroscuro, ad esempio la poligamia non è stata abrogata. Tuttavia è stata innalzata l’età matrimoniale ed è stato riconosciuto alla donna il diritto a chiedere il divorzio. Questo codice è importante non solo per quello che realizza nell’immediato ma anche perché dimostra che i Codici sono emendabili e che i testi possono essere soggetti a rilettura.

Parli di femminismo islamico; sembra quasi un paradosso.
Parlare di femminismo islamico sembra un ossimoro, una contraddizione. Invece nel mondo islamico ci sono varie forme di femminismo o meglio di movimenti femminili. In particolare sono tre le forme che l’attivismo femminile ha assunto nei diversi contesti: un femminismo di matrice secolare, che ha avuto una grande fortuna negli anni ottanta e novanta e che conosciamo meglio perché si tratta di organizzazioni con cui le organizzazioni femministe occidentale hanno spesso interagito creando reti internazionali. Questo movimento ha delle radici antichissime e una storia lunga oltre 100 anni: le prime rivendicazioni di genere le troviamo in scritti letterari di fine ottocento. Accanto a questo, che negli ultimi anni sta incontrando delle difficoltà di riconoscimento, emerge un femminismo che è stato definito islamico e che si basa sulla reinterpretazione del Corano e lo spiega da una prospettiva femminile, facendo emergere un discorso di uguaglianza di genere che, secondo teologhe e attiviste, è stato nascosto nel corso dei secoli da interpretazioni maschiliste e misogine che hanno oscurato la voce femminile, negando l’uguaglianza di genere che il Profeta aveva rivelato. Una terza forma di attivismo è quello che sta emergendo all’interno di gruppi islamisti, che hanno un’impostazione conservatrice dal punto di vista sociale e politico, ma che stanno vedendo una partecipazione femminile sempre più numerosa non solo nella base ma anche in ruoli di leadership, ad esempio Nadia Yassine e Heba Raouf Ezzat. Queste donne vanno strutturando un nuovo discorso di genere all’interno dei loro gruppi di riferimento affermando che accanto al ruolo di moglie e di madre, le donne devono svolgere anche un ruolo pubblico, partecipando accanto agli uomini allo sviluppo di una società islamica o orientata ai valori islamici.

Nella tua esperienza come affronteresti il tema del velo?

Posso riferire ciò che ho ascoltato parlando con molte donne che indossano il velo e loro mi hanno raccontato di libere scelte, a volte fatte anche in età avanzata, dopo un percorso personale. Il velo di queste donne non coincide con il velo delle loro madri; non è un’imposizione ma una decisione che riguarda il loro rapporto personale con Dio e non quello con gli uomini della loro famiglia. Mi sembra quindi, non per tutte, ma per molte, una scelta personale di auto definizione, di autodeterminazione che va letta in una chiave religiosa, identitaria, politica. Non penso che siano veli provocatori ma che nascano da un bisogno personale; è una scelta difficile specialmente in contesti occidentali.

Come far incontrare allora le donne occidentali e le donne arabe?
Penso che sia centrale dare una possibilità all’accoglienza. Mi sembra che quello che ho raccolto dalle femministe islamiche è una richiesta di ascolto. L’atteggiamento salvifico delle donne occidentali è spesso vissuto come autoritarismo, imperialismo, anche violenza. Le femministe islamiche chiedono che siano compresi i loro percorsi e che venga accettata l’idea che l’emancipazione femminile si possa realizzare anche all’interno di una cornice religiosa.

(26 aprile 2010)

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