mercoledì 8 febbraio 2012

Donne del Nord e del Sud, unitevi! Intervista a Aminata Traorè

E' stata funzionaria delle Nazioni Unite, Ministra delle Cultura in Mali e una delle principali fondatrice del Forum Sociale Mondiale. L'abbiamo incontrata a Roma

 

Quello che colpisce in questa donna è l’attenzione per le persone che le sono intorno e per le piccole cose quotidiane. Attratta dalla maglia che indosso la tocca a lungo e mi racconta che con le donne, a Bamako, hanno messo su un atelier di confezioni. E' uno dei suoi innumerevoli progetti con e per le donne, per uscire dal bisogno ma anche per riconoscere e riaffermare le capacità antiche e tradizionali che tengono insieme l’identità culturale.
La cultura, appunto. Questa è una delle sue principali preoccupazioni; “A noi africani è solo chiesto di aprirci: aprire le nostre frontiere, aprire il nostro animo, il nostro spirito. Su di noi viene esercitata una violenza che è politica, culturale, simbolica. I simboli dicono che non siamo nulla, non valiamo nulla fino a che non diventiamo come voi”. La responsabilità è anche dei governi nazionali, dominati da uomini con una “evidente sete di potere. Un potere che è autoritario, maschile e basato su di un modello eurocentrico”.

Lei ha lavorato a lungo negli organismi internazionali e al governo. Ma ha deciso di uscirne. E’ molto difficile per una donna lavorare nelle istituzioni, contaminarle?
Inizialmente, ho creduto moltissimo nella possibilità di poter cambiare le cose. Poi la mia esperienza mi ha fatto capire che l’ONU è un’organizzazione che è regolata fondamentalmente dalla burocrazia, da un linguaggio ingessato, in cui non è prevista la presa di parola che affronti le questioni in maniera diretta e questo finisce per far svanire i progetti e portarli al fallimento attraverso questa ombra di vaghezza e di irrealtà. Diffido delle parole governo e governance perché sono letteralmente delle ‘parole chiave’ che aprono delle porte e senza le quali le porte non si aprono quindi possono aiutare solo chi può utilizzarle. D’altra parte in Africa i governi nazionali non esistono più perché sono ostaggi delle organizzazioni internazionali e parlano lo stesso linguaggio “onusizzato” e non hanno l’autonomia di porre le questioni veramente urgenti per il paese.

Come è arrivata a capire tutto questo?
All’inizio quando ero molto giovane pensavo che la classica cooperazione avrebbe aiutato a cambiare le cose e anche io pensavo di poter dare una mano in questo senso. Ma sin dalle prime volte che mi sono trovata con quelli che avrebbero dovuto essere i beneficiari dei progetti mi sono sentita dire: “Per favore ascoltateci. Ci sono delle cose che non vanno in quello che state facendo”.

Quali sono invece i principali punti che la portano a credere che il Forum Sociale Mondiale possa realmente cambiare le cose?
Con il Forum si è creata una complicità politica e culturale che sta dando i suoi frutti anche perché comincia ad influenzare parecchi stati africani che si rendono conto che la politica non si fa solo arrivando alle elezioni. C’è una partecipazione e una pressione popolare che è ineludibile.

Quale è il ruolo delle donne nel Forum Sociale Mondiale?
Io penso che non ci sia differenza tra uomini e donne a questo livello. Il Forum è un’organizzazione democratica e quello che succede nel livello pubblico riflette la stessa organizzazione che c’è anche nella base.

Quale è il suo giudizio sul Social Forum dello scorso anno a Bamako. E’ stata un’occasione anche per l’Africa, e per il suo paese, per mostrarsi al mondo.
E’ stato un evento mondiale al quale hanno partecipato differenti persone provenienti da tutto il mondo per riflettere sulla situazione globale. Noi in Mali abbiamo solo messo lo spazio. Certo la profonda differenza con gli altri Forum è stata che molti più africani hanno potuto partecipare e il Forum ora è molto più conosciuto in Africa.

Cosa possiamo fare allora noi donne del Nord?
Noi dobbiamo aiutarci da sole. Quello che potete fare è solo ascoltarci e rispettarci, rispettare i nostri desideri. Noi stessi dobbiamo identificare i nostri problemi. Siamo stanchi di persone che arrivano nei nostri paesi e cercano di imporci le loro idee pensando che le soluzioni che hanno avuto risultati nel loro paese siano esportabili. Invece credo che se qualcuno vuole aiutare deve mettere le popolazioni locali nella condizione di avere opportunità di agire e prendersi le proprie responsabilità. Questa è la democrazia. Quando vedo investimenti milionari per infrastrutture, ad esempio strade, che dovrebbero facilitare il commercio mi chiedo se questo investimento è per gli africani o per le multinazionali che possono aprire delle fabbriche enormi, comprare grandi quantità di terreno. Per chi è il commercio?
(10 ottobre 2006)

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