mercoledì 8 febbraio 2012

La differenza può fare l'economia. Intervista a Loretta Napoleoni.

 La teoria economica 'alternativa' potrebbe venire dal mondo femminile

Intervista a Loretta Napoleoni, economista e saggista, sulla crisi mondiale e l'impatto di questa sul lavoro femminile, già molto instabile nel nostro paese.

Come usciamo dalla crisi economica globale che stiamo vivendo? La sensazione è che si voglia continuare a crescere senza mettere in discussione i modelli economici che ci hanno portato a questa situazione.
Una soluzione potrebbe essere concentrarsi su una crescita qualitativa invece che quantitativa. Gli economisti tradizionali, parlo dei neoliberisti, pensano che un aumento della crescita del PIL (Prodotto Interno Lordo) porti sempre al benessere; invece dovremmo utilizzare un indicatore che si basi sulla qualità della vita e ci dica se questa migliora o peggiora. La crescita ci deve essere, ma non è detto che debba essere basata solo sulla quantità.

C'è qualche paese che sta prendendo in considerazione quanto da lei appena espresso, mettendo in atto strategie di crescita qualitativa?
La grave mancanza è proprio questa: nessuno ha ancora messo mano ad una teoria economica che si basi sulla crescita di qualità. Anche i cinesi che investono pesantemente sulle energie rinnovabili non lo fanno per motivi qualitativi ma quantitativi, in quanto questo creerebbe una indipendenza dal petrolio con l'obiettivo di continuare a crescere.

Dal punto di vista del lavoro, gli ultimi mesi hanno evidenziato come si stia affermando una tendenza che crede che dalla crisi economica si possa uscire soltanto smantellando il sistema di regole e tutele universali dei lavoratori, a partire dal contratto nazionale (immaginiamo le conseguenze sulle donne). La convince questa impostazione?
Guardiamo alla Germania che è in una posizione economica migliore rispetto a noi e a tutta l'Europa; è un paese dove l'occupazione cresce perché si è mantenuta una legislazione seria sull'occupazione e soprattutto un'alleanza tra capitale e lavoro attraverso l'intermediazione forte dei sindacati. La Germania ha difeso i suoi lavoratori perché ha capito che chi compra i beni prodotti dal capitale sono gli operai. Il nostro problema attualmente è proprio questo: i salari degli operai sono così bassi che non si riesce neanche a consumare. Dovremmo come dicevo prima cambiare il paradigma: il grande industriale non dovrebbe essere più quello più ricco, che bada solo all'accumulazione, ma quello più amato.


Dentro questo nuovo paradigma le donne possono fare e dire qualcosa di diverso?
La teoria economica 'alternativa' potrebbe venire dal mondo femminile. Le donne vedono il mondo in un modo diverso soprattutto perché vivono la condizione lavorativa, non solo nelle professioni operaie ma anche in quelle intellettuali, in una posizione di svantaggio. In più hanno delle caratteristiche caratteriali diverse dagli uomini. Il problema fondamentale è, come diceva Carlo Marx rispetto alla classe operaia che avrebbe dovuto avere maggior coscienza della propria importanza nel binomio capitale/lavoro, che le donne non hanno ancora una coscienza della rilevanza del proprio ruolo. Questa è una coscienza che si conquista e che è di gruppo; i fenomeni isolati contano poco.

In Italia le donne vivono già da tempo una condizione di subalternità. Come mai questa esperienza non scatena una presa di coscienza? Perché non si riesce ancora a fare gruppo?
L'ostacolo maggiore allo sviluppo di questa coscienza sono proprio le donne che sono arrivate in cima. Hanno una paura intrinseca a gettare una corda a quelle che stanno dietro perché hanno fatto tutta la scalata da sole, in concorrenza micidiale con gli uomini. Sono donne di 45-65 anni, la generazione che ha vissuto il femminismo e non ha ancora consolidato quella certezza di sé per riuscire a dire “adesso aiuto le altre perché me lo posso permettere”. Questa dovrebbe essere una seconda fase del movimento femminista.

Se le donne devono lavorare, la società deve essere disponibile a dare valore alla maternità e investire nel welfare. Da economista le chiedo che cosa è il valore sociale della maternità e da dove si prendono i soldi?
Senza maternità non c'è ricambio generazionale e senza ricambio generazionale sarebbe insostenibile sorreggere il mondo del lavoro, pensiamo alla dinamica delle pensioni. Il ruolo delle donne in quanto madri, quindi, non è solo biologico ma anche sociale ed economico. Per quanto riguarda i finanziamenti basta dire che i soldi sono stati spesi ed investiti in altri campi. Bisogna decidere chi e che cosa ha la priorità e a mio parere sono le pensioni e la tutela della maternità, cioè l'inizio e la fine della vita di un individuo, che sono sacre e devono essere tutelate.

Meritocrazia è la parola magica che viene evocata spessissimo nel nostro paese, anche e soprattutto quando si parla di donne. Ma giudicare in base al merito presuppone che ci siano pari opportunità di partenza.
Nel nostro paese la meritocrazia per le donne è soltanto 'orizzontale'. Basta dare un'occhiata a chi sta nel Parlamento italiano, a chi sono i Ministri donne. La meritocrazia è tutta un'altra cosa; è un sistema in cui i migliori riescono ad arrivare in cima. Il Parlamento italiano di oggi ha meno laureati di 30 anni fa e probabilmente molti più citati in giudizio e condannati. Il numero di donne è bassissimo e chi è arrivata lì l'ha fatto per le relazioni che ha con uomini di potere. In Italia la meritocrazia non esiste.

Come donna, come economista, come madre: cosa direbbe ad una giovane donna italiana, preparata, ambiziosa, che ha voglia di lavorare e vuole trovare delle gratificazioni nel suo lavoro?
Le direi di andarsene, come me ne sono andata io. Oggi, in Italia, è peggio di quando io avevo 24 anni. Purtroppo è così.


(8 novembre 2010)

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