La teoria economica 'alternativa' potrebbe venire dal mondo femminile
Intervista a Loretta Napoleoni, economista e saggista, sulla crisi
mondiale e l'impatto di questa sul lavoro femminile, già molto instabile
nel nostro paese.
Come usciamo dalla crisi economica globale che stiamo vivendo? La
sensazione è che si voglia continuare a crescere senza mettere in
discussione i modelli economici che ci hanno portato a questa
situazione.
Una soluzione potrebbe essere concentrarsi su una crescita
qualitativa invece che quantitativa. Gli economisti tradizionali, parlo
dei neoliberisti, pensano che un aumento della crescita del PIL
(Prodotto Interno Lordo) porti sempre al benessere; invece dovremmo
utilizzare un indicatore che si basi sulla qualità della vita e ci dica
se questa migliora o peggiora. La crescita ci deve essere, ma non è
detto che debba essere basata solo sulla quantità.
C'è qualche paese che sta prendendo in considerazione quanto da lei
appena espresso, mettendo in atto strategie di crescita qualitativa?
La grave mancanza è proprio questa: nessuno ha ancora messo mano ad
una teoria economica che si basi sulla crescita di qualità. Anche i
cinesi che investono pesantemente sulle energie rinnovabili non lo fanno
per motivi qualitativi ma quantitativi, in quanto questo creerebbe una
indipendenza dal petrolio con l'obiettivo di continuare a crescere.
Dal punto di vista del lavoro, gli ultimi mesi hanno evidenziato come
si stia affermando una tendenza che crede che dalla crisi economica si
possa uscire soltanto smantellando il sistema di regole e tutele
universali dei lavoratori, a partire dal contratto nazionale
(immaginiamo le conseguenze sulle donne). La convince questa
impostazione?
Guardiamo alla Germania che è in una posizione economica migliore
rispetto a noi e a tutta l'Europa; è un paese dove l'occupazione cresce
perché si è mantenuta una legislazione seria sull'occupazione e
soprattutto un'alleanza tra capitale e lavoro attraverso
l'intermediazione forte dei sindacati. La Germania ha difeso i suoi
lavoratori perché ha capito che chi compra i beni prodotti dal capitale
sono gli operai. Il nostro problema attualmente è proprio questo: i
salari degli operai sono così bassi che non si riesce neanche a
consumare. Dovremmo come dicevo prima cambiare il paradigma: il grande
industriale non dovrebbe essere più quello più ricco, che bada solo
all'accumulazione, ma quello più amato.
Dentro questo nuovo paradigma le donne possono fare e dire qualcosa di diverso?
La teoria economica 'alternativa' potrebbe venire dal mondo
femminile. Le donne vedono il mondo in un modo diverso soprattutto
perché vivono la condizione lavorativa, non solo nelle professioni
operaie ma anche in quelle intellettuali, in una posizione di
svantaggio. In più hanno delle caratteristiche caratteriali diverse
dagli uomini. Il problema fondamentale è, come diceva Carlo Marx
rispetto alla classe operaia che avrebbe dovuto avere maggior coscienza
della propria importanza nel binomio capitale/lavoro, che le donne non
hanno ancora una coscienza della rilevanza del proprio ruolo. Questa è
una coscienza che si conquista e che è di gruppo; i fenomeni isolati
contano poco.
In Italia le donne vivono già da tempo una condizione di
subalternità. Come mai questa esperienza non scatena una presa di
coscienza? Perché non si riesce ancora a fare gruppo?
L'ostacolo maggiore allo sviluppo di questa coscienza sono proprio
le donne che sono arrivate in cima. Hanno una paura intrinseca a gettare
una corda a quelle che stanno dietro perché hanno fatto tutta la
scalata da sole, in concorrenza micidiale con gli uomini. Sono donne di
45-65 anni, la generazione che ha vissuto il femminismo e non ha ancora
consolidato quella certezza di sé per riuscire a dire “adesso aiuto le
altre perché me lo posso permettere”. Questa dovrebbe essere una seconda
fase del movimento femminista.
Se le donne devono lavorare, la società deve essere disponibile a
dare valore alla maternità e investire nel welfare. Da economista le
chiedo che cosa è il valore sociale della maternità e da dove si
prendono i soldi?
Senza maternità non c'è ricambio generazionale e senza ricambio
generazionale sarebbe insostenibile sorreggere il mondo del lavoro,
pensiamo alla dinamica delle pensioni. Il ruolo delle donne in quanto
madri, quindi, non è solo biologico ma anche sociale ed economico. Per
quanto riguarda i finanziamenti basta dire che i soldi sono stati spesi
ed investiti in altri campi. Bisogna decidere chi e che cosa ha la
priorità e a mio parere sono le pensioni e la tutela della maternità,
cioè l'inizio e la fine della vita di un individuo, che sono sacre e
devono essere tutelate.
Meritocrazia è la parola magica che viene evocata spessissimo nel
nostro paese, anche e soprattutto quando si parla di donne. Ma giudicare
in base al merito presuppone che ci siano pari opportunità di partenza.
Nel nostro paese la meritocrazia per le donne è soltanto
'orizzontale'. Basta dare un'occhiata a chi sta nel Parlamento italiano,
a chi sono i Ministri donne. La meritocrazia è tutta un'altra cosa; è
un sistema in cui i migliori riescono ad arrivare in cima. Il Parlamento
italiano di oggi ha meno laureati di 30 anni fa e probabilmente molti
più citati in giudizio e condannati. Il numero di donne è bassissimo e
chi è arrivata lì l'ha fatto per le relazioni che ha con uomini di
potere. In Italia la meritocrazia non esiste.
Come donna, come economista, come madre: cosa direbbe ad una giovane
donna italiana, preparata, ambiziosa, che ha voglia di lavorare e vuole
trovare delle gratificazioni nel suo lavoro?
Le direi di andarsene, come me ne sono andata io. Oggi, in Italia, è peggio di quando io avevo 24 anni. Purtroppo è così.
(8 novembre 2010)
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