mercoledì 8 febbraio 2012

Cambiamenti? Solo per amore. Conversazione con Daniela Degan

"Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo." Oppure un economista. Kenneth Boulding, economista



La qualità di vita di un individuo passa anche attraverso la possibilità di fare una pausa pranzo degna di questo nome. Daniela Degan lo sa benissimo e quindi ci incontriamo a casa sua, dove, davanti a prodotti freschi del territorio, facciamo una chiacchierata sulla crisi economica e sul progetto sociale e politico alternativo alla società della crescita.
“Spiegarti cosa intendiamo per decrescita non è semplice perché non parliamo di un modello economico in senso classico. Non dà soluzioni valide per tutti in ogni luogo. Cerca invece di offrire degli strumenti e di trasmettere stili di vita che non sono omologati ma creati dai territori e dalle comunità. Propone un punto di vista che ritiene fondamentale riappropriarsi dello spazio e del tempo di ciascuna e ciascuno che viene valorizzato e qualificato. Rappresenta una ricerca, ‘un’utopia concreta e necessaria’.”
La decrescita, quindi, non vuole essere una soluzione alla crisi economica ma piuttosto una ipotesi per promuovere un tentativo creativo di rompere la retorica della crescita economica senza limiti verso un supposto sviluppo i cui risultati, in termini di distruzione ambientale, cambiamento climatico, accumulazione dei rifiuti sono sotto gli occhi di tutti. “L’ansia sviluppista degli ultimi decenni ha lasciato indietro l’ascolto dei bisogni primari e necessari, delle tecniche e dei saperi tradizionali, la capacità di decidere nella libertà l’uso delle risorse. E un numero sempre crescente di persone si ritiene insoddisfatto della propria qualità di vita e della corsa alla crescita infinita a cui sembriamo condannati. Non basta più calcolare il PIL (Prodotto Interno Lordo) che è solo sinonimo di crescita economica e non riflette assolutamente l’interezza della persona. Bisogna tornare ad un principio di benessere e quindi basarsi sul proprio BIL (Benessere Interno Lordo). Il mio si fonda su tre indicatori: il tempo sottratto alle ‘molte cose da fare’ perché deciso di vivere con profondità, tra i sorrisi dei bambini, i dolci pensieri delle amiche e l'aria selvaggia della natura; tutti i sogni, le immagini, le creazioni dell'ingegno, dell'arte, della terra, delle tessiture di reti, i giochi delle molte donne sibille che abitano ancora i boschi fatati; la valorizzazione dell'ascolto attivo, empatico e amicale quale stimolo del vivere ed agire la nonviolenza a favore di un mondo colorato di pace”. E il discorso si sposta inevitabilmente su un’altra passione, quella per il pensiero e il vissuto femminile, che possono mostrare delle concrete indicazioni per il futuro dell’umanità. “Contemporaneamente all’impegno nel movimento per la decrescita, ma in un certo senso anche in strettissima unione con quella elaborazione, sto portando avanti uno studio sulle civiltà preistoriche e il ruolo del femminile. È l’analisi di una società egualitaria e solidale che è esistita ma che la storia non ci ha raccontato. Siamo abituati a far iniziare lo studio sistematico della storia a partire dagli assiri e da lì in poi le figure fondamentali sono gli eroi, i guerrieri e poi i re. Invece delle archeologhe, in primis Marija Gimbutas, hanno avuto l’intuizione di andare a studiare le società del neolitico nella quale i reperti archeologici ci dicono che è esistita una società matrilineare e matrifocale nella quale il ruolo delle donne non era ancora quello imposto dal sistema patriarcale. Si tratta di società fondate sul principio della solidarietà, della nonviolenza in cui non esistevano la gerarchia, l’autorità, il principio dell’accumulazione e si rispettavano le risorse. Il mio immaginario mi porta a credere che, se questo è stato, se l’umanità è stata in grado di vivere senza l’aggressività, è ancora possibile trovare una giusta distanza dalla guerra e dalle violenze degli uomini su altri uomini e su tutte le donne. Riane Eisler, un'antropologa, storica e saggista statunitense, ha coniato il termine gilania che nasce dal legame delle parole donna (guné) e uomo (anér): si tratta di una società evoluta, non più matriarcale e non ancora patriarcale, organizzata in un sistema non gerarchico e che era in grado di sviluppare delle tecnologie al servizio degli individui senza conoscere le armi. Sapere che questo, nel passato dell’umanità, è stata la realtà di vita quotidiana mi porta ancora più fortemente a credere che c’è bisogno della consapevolezza degli individui di farsi carico di questa necessaria e straordinaria trasformazione altrimenti per il genere umano si prospetta solo l’imposizione e la persona sarà completamente schiacciata dai consumi. La crisi diventa quindi solo una interruzione della ossessione del consumare illimitato e di conseguenza una occasione preziosa (di portata storica, direi, vista la necessità urgente di salvare il pianeta dall’uso smisurato delle risorse naturali) per reintrodurre una visione al femminile nei tanti modelli di evoluzione pacifica (non di ripresa dello sviluppo che macina la natura invece di osservarla e goderla) che dobbiamo, come genere umano, ricreare e reintrodurre al posto della ‘megamacchina’, se vogliamo salvare quel che resta dell’unico pianeta che abbiamo a disposizione. Come dice Serge Latouche, ‘Sarà per amore o non sarà’.” (Contatti mail: degadan@hotmail.com)

(marzo 2009)

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